USA e Europa: la partita dei tassi si fa dura
Con i mercati finanziari tornati a pieno regime, quello che abbiamo vissuto è stato un avvio di anno all’insegna del nervosismo e del riposizionamento. Indubbiamente gli indici di Borsa, americani ed europei, si mantengono vicini ai massimi.
Con i mercati finanziari tornati a pieno regime, quello che abbiamo vissuto è stato un avvio di anno all’insegna del nervosismo e del riposizionamento. Indubbiamente gli indici di Borsa, americani ed europei, si mantengono vicini ai massimi. Qualcosa ha tuttavia turbato il sentiment degli operatori, coinvolti in un re-pricing anche in vista dell’imminente sbarco alla Casa Bianca di Donald Trump: quel qualcosa sono la forza dell’economia USA e i timori sul fronte dell’inflazione, fattori che potrebbero andare a impattare sulla traiettoria della politica monetaria americana. Seguendo anche alcune dichiarazioni giunte dai banchieri centrali statunitensi, il mercato ha iniziato a mettere in dubbio che la Fed effettui tutti i tagli dei tassi stimati fino alle scorse settimane per il 2025. I rendimenti dei titoli di Stato USA a 10 anni sono così saliti ai massimi da fine aprile 2024 e a cascata le azioni tech hanno visto i propri corsi ripiegare. L’incremento dei prezzi energetici non fa che peggiorare il contesto, con la BCE che potrebbe trovarsi ancor più spiazzata della Fed. L’economia europea è più debole di quella USA e la crescita delle quotazioni di petrolio e gas, unitamente al calo dei valori dell’euro, potrebbe spingere l’Eurotower ad un approccio più conservativo nel tagliare il costo del denaro.
Appuntamenti Macro
Data | Appuntamenti in calendario |
Lunedì 13/01 |
L’ottava inizia con i dati cinesi sull’andamento della bilancia commerciale e dei nuovi prestiti. In agenda anche l’aggiornamento sui prezzi all’ingrosso in Germania. |
Martedì 14/01 |
Focus sulla produzione industriale italiana e sull’indice tedesco ZEW. In calendario anche i numeri statunitensi su sentiment delle piccole imprese e prezzi alla produzione. |
Mercoledì 15/01 |
In Europa attenzione alla produzione industriale di Eurolandia e ai prezzi al consumo in Gran Bretagna. Inflazione in focus anche negli Stati Uniti, dove è in agenda anche il dato sul manifatturiero di New York. |
Giovedì 16/01 | È il giorno in cui la Banca centrale cinese aggiorna i tassi sui prestiti a 1 e 5 anni. Dal Regno Unito giungeranno i dati sul Pil e sull’andamento della produzione industriale mentre Italia ed Eurolandia diffondono le rispettive bilance commerciali. Sponda statunitense, attenzione alle nuove richieste di sussidio e alle vendite al dettaglio. |
Venerdì 17/01 |
Cina protagonista con i dati su Pil, produzione industriale, vendite al dettaglio e tasso di disoccupazione. L’ufficio centrale di statistica britannico diffonde i dati sulle vendite al dettaglio mentre Eurostat pubblica i numeri su bilancia delle partite correnti e inflazione (dato finale). Dagli USA sono in arrivo di dati su permessi di costruzione, nuovi cantieri edili e produzione industriale. |
Inflazione USA: ora si fa sul serio
Quella che inizia oggi sarà una settimana caratterizzata dai numeri sull’andamento dell’inflazione statunitense. Si parte domani con i dati sui prezzi alla produzione, che da sempre rappresenta una proxy di quello che sarà l’andamento futuro dei prezzi dei prodotti acquistati dai cittadini della prima economia. Il PPI (Producer Price Index) è stimato stabile al 3% su base annua mentre a livello mensile la crescita dovrebbe attestarsi allo 0,3%; il giorno successivo sarà la volta del tanto atteso CPI (Consumer Price Index) che, dopo il +2,7% annuo di novembre, nell’ultimo mese del 2024 dovrebbe aver segnato un +2,8%. Sulla base di quanto emerso dall’ultimo meeting della Federal Reserve e delle dichiarazioni dei maggiori esponenti dell’istituto con sede a Washington, nel 2025 la politica monetaria della Fed sarà caratterizzata da un approccio prudente. Questo anche, e forse soprattutto, alla luce del fatto che le politiche economiche che dovrebbero essere varate dalla nuova amministrazione sembrerebbero designate per spingere al rialzo i prezzi. L’ottava, sempre per quanto riguarda gli Stati Uniti, sarà anche caratterizzata dai numeri sulle vendite al dettaglio (giovedì) e sull’andamento della produzione industriale (venerdì). Nell’ultima seduta della settimana attenzione anche ai dati cinesi su crescita economica, produzione industriale, vendite al dettaglio e tasso di disoccupazione.
Dollaro: forza da tassi e politica
Morto il dollaro, viva il dollaro. Ritornando all’inizio del 2024, uno dei grandi temi di cui si parlava sul mercato valutario era quello del processo di de-dolarizzazione che vedeva protagonista la Cina e importanti Paesi emergenti. Un anno dopo si scopre che nella realtà il Dollar Index nel 2024 ha guadagnato il 7,1%, con il biglietto verde che ha vinto alla grande la sfida con la sterlina inglese (-1,7%), lo yuan cinese (-2,8%), l’euro (-6,2%), il franco svizzero (-7,3%) e lo yen giapponese (-10,3%). Il trend del 2024 potrebbe peraltro proseguire, questo almeno guardando elementi di politica monetaria e di geopolitica. I recenti dati macro, tra cui spiccano quelli del mercato del lavoro usciti venerdì, hanno confermato la solidità e il buono stato di salute dell’economia statunitense. In un contesto del genere, la Federal Reserve potrebbe decidere di non tagliare il costo del denaro né a fine gennaio né a marzo. Guardando i dati del FedWatch Tool si nota un forte repricing di questo scenario rispetto a un mese fa. Il 10 dicembre il 54,2% degli analisti si aspettava un taglio di 25 punti base a marzo, ora il 74% stima la conferma del costo del denaro nell’intervallo 4,25-4,5%. Se indubbiamente la leva monetaria è tra le più importanti negli equilibri del mercato valutario, vi sono altri elementi politici che non vanno trascurati quando si parla di proiezioni del dollaro. Tra giusto una settimana si insedierà alla Casa Bianca Donald Trump. Il tycoon repubblicano da quando ha vinto le presidenziali di novembre non ha perso occasione per ventilare l’ipotesi di dazi commerciali nei confronti di Cina, Europa e di molti altri Paesi. Pur con il rischio di importare inflazione a causa del fatto che le materie prime sono espresse in dollari, molte Banche centrali potrebbero decidere di far apprezzare il biglietto verde per bilanciare gli effetti negativi dei dazi.
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