La rivoluzione delle reti: l’Europa investe 3.000 miliardi per la transizione energetica
L’Europa è entrata in una fase cruciale della transizione energetica. L’elettrificazione dei consumi, la corsa alle rinnovabili, la crescita dei data center e l’AI stanno facendo esplodere la domanda di energia. Secondo stime recenti, entro il 2035 serviranno fino a 3.000 miliardi di euro di investimenti tra reti e generazione. Il problema è che molte infrastrutture hanno 40–50 anni e non sono pronte a reggere questa nuova complessità. Senza un rinnovamento massiccio, il rischio è di colli di bottiglia e blackout: da qui la spinta di Bruxelles e dei governi nazionali su fondi dedicati e interconnessioni paneuropee.
Il contesto europeo
L’Europa ha un obiettivo chiaro: diventare leader nella transizione energetica, riducendo le emissioni e aumentando la sicurezza dell’approvvigionamento. Per riuscirci non bastano più nuovi parchi solari ed eolici: serve una rete elettrica in grado di integrare questa energia e distribuirla senza interruzioni.
La domanda di elettricità è destinata a crescere a un ritmo del 1,5%–2% annuo dal 2026, trainata da mobilità elettrica, digitalizzazione e soprattutto dall’esplosione dei data center e dell’intelligenza artificiale. Questo implica un fabbisogno di capacità e stabilità senza precedenti.
Non sorprende quindi che la Commissione Europea abbia messo le reti al centro della sua agenda. I progetti di interconnessione transfrontaliera, gli incentivi del Green Deal e le risorse del PNRR nei singoli Paesi puntano a trasformare le infrastrutture elettriche in una spina dorsale capace di sostenere la nuova economia digitale ed energetica.
In questo scenario, le reti non sono più un settore “invisibile”, ma diventano un asset strategico al pari delle ferrovie o delle autostrade, con investimenti che possono ridefinire il panorama industriale europeo.
Perché servono nuovi investimenti
Le reti elettriche europee nascono in gran parte negli anni ’70 e ’80: infrastrutture solide, ma pensate per un mondo completamente diverso da quello attuale. All’epoca la produzione era centralizzata, poche centrali elettriche e consumi più stabili, mentre oggi la generazione è sempre più distribuita, con milioni di impianti solari ed eolici connessi direttamente alla rete.
Questa trasformazione rende la gestione del sistema molto più complessa. A ciò si aggiunge la crescita esplosiva dei consumi: le auto elettriche, i sistemi di riscaldamento a pompa di calore, i data center e le applicazioni di intelligenza artificiale stanno spingendo la domanda a livelli inediti.
Il risultato è chiaro: senza un ammodernamento radicale, le reti rischiano di diventare un collo di bottiglia per l’intera transizione energetica. Gli investimenti stimati, fino a 3.000 miliardi di euro entro il 2035, non sono quindi un lusso, ma una necessità per garantire continuità, sicurezza e competitività al sistema economico europeo.
I campioni europei della transizione
La sfida della transizione energetica non potrà essere vinta solo con nuove centrali solari o eoliche: servono infrastrutture robuste, reti intelligenti e capacità di integrare energia rinnovabile su larga scala. In questo scenario emergono tre protagonisti europei che, pur con approcci diversi, sono già oggi punti di riferimento per la trasformazione del settore.
Prysmian, leader mondiale nei cavi per trasmissione e distribuzione, conta un portafoglio ordini record superiore ai 20 miliardi di euro. Tra i progetti più rilevanti figurano gli interconnector sottomarini in Nord Europa e nel Mediterraneo, fondamentali per integrare l’energia rinnovabile offshore. I suoi cavi ad alta tensione, in alcuni casi capaci di trasportare elettricità per oltre 1.000 km, sono la spina dorsale della rete elettrica del futuro.
Enel, tra i maggiori gruppi globali nelle rinnovabili con oltre 61 GW di capacità installata, è anche il primo operatore europeo nella distribuzione di energia, con 2,3 milioni di km di linee attraverso e-distribuzione e oltre 75 milioni di utenti serviti. Negli ultimi anni ha accelerato sulla digitalizzazione delle reti, investendo in tecnologie per trasformarle in smart grid capaci di gestire milioni di punti di produzione e consumo distribuiti, dai pannelli solari domestici agli impianti utility scale.
RWE, infine, è tra i leader della nuova generazione pulita in Germania e in Europa. Solo nel 2024 ha investito circa 11 miliardi di euro in rinnovabili, e punta ad aggiungere 35 GW di capacità verde entro il 2030, con particolare focus sull’eolico offshore, dove già detiene una posizione di rilievo a livello globale. Questa crescita rende sempre più urgente il potenziamento delle reti, per evitare che l’energia prodotta resti “intrappolata” lontano dai centri di consumo.
I rischi da considerare
Il potenziale della transizione è enorme, ma non privo di ostacoli. Il primo riguarda i tempi: molte reti europee hanno decenni di vita e il percorso di ammodernamento procede lentamente, spesso frenato da autorizzazioni complesse e da colli di bottiglia burocratici. Non a caso, in diversi Paesi migliaia di megawatt di nuova capacità rinnovabile restano in attesa di connessione alla rete, con il rischio che l’energia prodotta non possa essere immessa. A questo si aggiunge la variabile regolatoria: la remunerazione degli investimenti in infrastrutture dipende in larga parte dalle decisioni dei regolatori nazionali, e cambiamenti improvvisi nelle regole del gioco possono incidere direttamente sulla redditività dei progetti.
Anche se l’Europa non vive più il regime di tassi elevati visti in periodi recenti, il costo del denaro rimane una variabile importante da gestire per le infrastrutture: piccoli rialzi nei tassi o nei premi al rischio possono ridurre sensibilmente i margini attesi. Sul fronte operativo, poi, resta il tema della resilienza: eventi climatici estremi, cyber attacchi o interruzioni nelle catene di fornitura possono compromettere la stabilità del sistema, soprattutto in reti sempre più interconnesse e digitalizzate. Infine, c’è la dimensione sociale: se i costi della transizione dovessero riversarsi troppo rapidamente sulle bollette di famiglie e imprese, il consenso politico potrebbe vacillare, rallentando ulteriormente l’avanzamento dei progetti.
Le opportunità
Se i rischi non mancano, il quadro delle opportunità è ancora più ampio e supportato da numeri impressionanti. In Europa ci sono già oltre 1.700 GW di progetti rinnovabili in attesa di connessione alla rete, di cui più di 500 GW offshore: energia potenzialmente disponibile che non può essere immessa per mancanza di infrastrutture adeguate. Allo stesso tempo, la domanda dei data center è destinata a raddoppiare entro il 2030, passando da circa 18,7 GW a 36 GW, spinta dall’esplosione dell’intelligenza artificiale e dei servizi cloud.
Questi dati mostrano chiaramente quanto le reti elettriche siano oggi il vero collo di bottiglia della transizione. Non a caso, la Commissione Europea stima che entro il 2040 serviranno circa €730 miliardi di investimenti nelle reti di distribuzione e altri €477 miliardi nelle reti di trasmissione, mentre già entro il 2030 si parla di oltre €584 miliardi di capitali da mobilitare. Una cifra che conferma come le infrastrutture elettriche siano destinate a diventare uno dei più grandi cantieri d’Europa.
Per il mercato, questo si traduce in un’opportunità unica: parliamo di un settore sostenuto da driver strutturali e da ingenti flussi di capitale pubblico e privato. Non solo: società come Prysmian, che nel 2024 ha registrato un fatturato di oltre €17 miliardi e un utile netto di €729 milioni, dimostrano già di avere la solidità e la scala necessarie per intercettare questa ondata di investimenti. In altre parole, la transizione energetica europea non è più solo una prospettiva: è un megatrend già in atto, che offre opportunità concrete e di lungo periodo.
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Rischi
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