La tempesta perfetta è lontana, ma la nebbia è densa
La crisi tra Israele e Iran è giunta alla sua seconda settimana senza provocare particolari scossoni. Sono due le convinzioni che muovono gli operatori: il conflitto continuerà ad avere un’impronta regionale e l’Iran non bloccherà lo Stretto di Hormuz.
Il primo punto ha vacillato negli ultimi giorni dopo l’attacco statunitense all’Iran mentre il secondo sembrerebbe abbastanza solido, visto che Hormuz rappresenta un punto di passaggio particolarmente importante per le navi cinesi (ed il Dragone è uno degli alleati più solidi di Teheran). Nel caso in cui venisse chiuso, il timore è che il balzo del petrolio, che per gli esperti potrebbe tornare a superare i 100 $, finirebbe per accelerare quel processo stagflazionistico già innescato dai dazi. Per ora, la Fed non è della partita: nella riunione di mercoledì scorso, Jerome Powell ha ribadito di voler attendere segnali dai dati ma ha anche anticipato che le tariffe commerciali innescheranno un’inflazione “significativa”. L’incertezza in arrivo dagli USA gioca a sfavore del dollaro, mentre cresce la fiducia per gli asset denominati in euro. Siamo quindi in un contesto di attesa, ma la vera tempesta non sembra essere all’orizzonte, almeno non nell’immediato.
Appuntamenti Macro
Data | Appuntamenti in calendario |
Lunedì 23/06 |
La settimana inizia con gli aggiornamenti preliminari sul sentiment dei direttori degli acquisti del comparto manifatturiero e dei servizi di Zona Euro, Gran Bretagna e Stati Uniti. Per quanto riguarda la prima economia, focus anche sulle vendite di case esistenti. |
Martedì 24/06 |
Dalla Germania è in arrivo l’indice IFO mentre l’agenda macro statunitense prevede gli aggiornamenti su prezzi delle abitazioni, fiducia dei consumatori e indice manifatturiero di Richmond. |
Mercoledì 25/06 |
È il giorno della testimonianza di Jerome Powell al Senato e dell’indice USA che misura l’andamento delle vendite di case esistenti. |
Giovedì 26/06 | In agenda i numeri statunitensi su nuove richieste di sussidio di disoccupazione, ordini di beni durevoli e indice dei compromessi immobiliari. |
Venerdì 27/06 | Ultima seduta della settimana caratterizzata dall’inflazione giapponese e dai dati sull’andamento dei prezzi al consumo di Francia e Spagna. In calendario negli USA troviamo i prezzi al consumo misurati dal PCE, su redditi e spese e l’indice finale sul sentiment dei consumatori misurato dall’Università del Michigan. |
PMI e prezzi in focus
Al termine dell’ultima riunione del FOMC, il braccio operativo della Federal Reserve, l’istituto con sede a Washington ha rivisto al ribasso la crescita economica ed alzato le stime sui prezzi al consumo. Per quanto riguarda l’andamento della prima economia, la settimana inizierà con gli indici PMI (Purchasing Managers’ Index), indicatori chiave della salute di un settore economico. Si tratta di dati anticipatori sulla crescita o contrazione dell’attività economica, basandosi su ordini, produzione, occupazione e prezzi. Per quanto riguarda invece l’inflazione a stelle e strisce, venerdì è in agenda il PCE (Personal Consumption Expenditures), il dato che rileva l’andamento dei prezzi dei beni realmente acquistati, e non, come l’indice “classico”, di un paniere (grazie a questa sua caratteristica è il preferito dalla Federal Reserve). In avvio di settimana saranno anche diffusi gli indici dei direttori degli acquisti di Eurolandia e Gran Bretagna: se nel caso statunitense a maggio sia il dato del manifatturiero che quello dei servizi si sono attestati sopra quota 50 punti (quella che separa espansione e recessione dell’attività economica), in Gran Bretagna è stato registrato un andamento divergente mentre nella Zona Euro entrambi hanno segnalato una contrazione. Venerdì sarà anche la volta dei numeri preliminari sull’andamento dell’inflazione in Spagna e Francia.
Pechino guida la carica elettrica
Il rombo dei motori termici sta progressivamente lasciando spazio al silenzio dell’elettrico. Si tratta di un passaggio epocale, che spinge le case tradizionali ad una transizione impegnativa e costosa e permette l’ingresso sul mercato di nuovi attori. Dopo Tesla, sono diverse le nuove case automobilistiche che si sono affacciate sul mercato. Gran parte delle nuove realtà sono basate in Cina, da dove arriva il 60% delle auto elettriche globali. Sono tre le fasi che hanno permesso a Pechino di affermarsi: inizialmente, la crescita del “know-how” si è avuta tramite le joint venture con le case straniere, poi sono arrivati gli ingentissimi investimenti pubblici e poi, dopo aver acquisito il dominio del mercato interno, i nuovi colossi dell’automotive targati CN hanno superato la Grande Muraglia entrando nei mercati occidentali. Se inizialmente a muovere l’interesse dei consumatori è stata la leva del prezzo, oggi la situazione è profondamente cambiata. Certo, un SUV “made in China” costa ancora meno rispetto ai concorrenti occidentali: in Cina un EV (Electric Vehicle) costa in media il 33% in meno rispetto ad un modello tradizionale mentre in Stati Uniti ed Europa le auto a nuova motorizzazione ha un prezzo del 40% maggiore e quindi, anche in presenza di dazi, i prezzi dei veicoli cinesi si rivelano altamente concorrenziali sui mercati europei. Le cause non vanno più, o comunque non solo, ricercate nei salari bassi (cresciuti del 60% in sette anni), oggi il vero vantaggio competitivo è rappresentato dalle batterie. La Cina controlla il 90% della produzione mondiale e, grazie alla disponibilità di miniere in Africa, la catena è saldamente nelle mani del Dragone. Oltre al prezzo, gli EV cinesi sono caratterizzati da una piattaforma per l’innovazione incrociata. Xiaomi e Huawei sono passate dai telefoni alle auto, Baidu dal motore di ricerca al robotaxi, e XPeng gioca con la robotica. In breve: tutti fanno tutto, e il risultato è un ecosistema tecnologico sinergico, agile e iperconnesso.
Il Certificato d’investimento sull’automotive cinese
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